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| Giorni di calma in ditta… oggi vagavo nel magazzino fingendo di avere uno scopo qualunque (ad essere sincero non fingevo granché bene: ero appoggiato ad un frigorifero) quando ecco che un collega mi passa di fianco con un “coso” nero in mano e si infila di corsa in laboratorio. Che sarà mai, mi chiedo. E si sa, nella noia, ogni cazzata è novità. Quando entro, sul bancone c’è un secchio di plastica con sopra un ritaglio di legno che funge da improvvisato coperchio, attorno almeno quattro o cinque operai, fiori all’occhiello della nostra ditta. Brinda ha trovato un piccolo di gazza. Deve essere caduto dal nido, era ai piedi della betulla in cortile. E qui, il vostro eroe (che poi sarei io) si è dovuto sorbire le ipotesi più strampalate sulla futura sorte dello schifomerda piumato. In partenza viene proposto di rimetterlo nel nido. Già io mi domando, ma perché non l’hanno lasciato dov’era? Gli uccelli sapevano già volare prima che Lucy imparasse a camminare, ma ora sembra che senza di noi il mondo smetterebbe addirittura di girare… Comunque, ci può stare di rilanciarlo lassù, perché sotto c’è il parcheggio.
“Come facciamo a tirarlo su?”
“Potremmo usare la scala” (la scala sarebbe il carrello elevatore che usiamo, a volte, per portare i divani negli alloggi)
“Si, ma c’è il Chimico che gira” (che sarebbe uno dei vecchi capi)
“Ma se telefoniamo a Giegiu, lui non lo prende?”
“Si, ma non ho qui il suo numero, non puoi passare a casa sua?”
E avanti così…
Finché il colpo di genio di “Geppetto”, il mio collega/capo, “la porto a casa mia! Franco non avevi una gabbia?”
“Si, vado a prenderla!”
Si dileguano tutti…
Il sottoscritto, che ancora non ha detto nulla, sbircia nel secchio. Lo schifomerda mi guarda inclinando la testolina. Si si, ho capito. Ci penso io. Ed incomincio la mia opera di persuasione:
“Che te ne fai di una gazza?”
“La tengo, no? E le insegno a parlare!” (Madonna che mi tocca sentire!)
“Ma le gazze non parlano!”
“Embhè?” (ah, bhe…)
-silenzio-
“Tu che sai, cosa mangiano le gazze?” (Uao… Iniziamo bene…)
“Non saprei, ma di sicuro sa cosa mangiare se la lasciamo libera…”
E avanti così… Mica potevo prenderlo a ceffoni, poi chi lo sopporta più…
Alla fine cede:
“Come la mettiamo nel nido?”
“Basta arrampicarsi, vado io”
Si, lo so che un attimo fa ho detto che bastava lasciarla a terra, ma se la lasciavamo lì qualcun altro poteva vederla e via! Tutto da capo! Non credo che Schifomerda avrebbe apprezzato.
Piego l’orlo della maglia in modo da formare una sorta di marsupio, ci infiliamo Schifomerda che non la smette di lamentarsi, e chiudiamo con un giro di scotch di carta. Di qui in poi è tutta discesa, salgo sulla betulla, raggiungo il nido, ci sbatto dentro Schiformerda. Missione compiuta, scendo stile bradipo ubriaco.
Guardo l’orologio: mancano cinque minuti ...Read the whole post... |
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